"De statua" ovvero la vera identità della Venere di Bovillae
di Marco Bellitto23/03/2018
“De statua” ovvero la vera identità della Venere di Bovillae
A proposito di una statua di Venere con le sembianze di Giulia, figlia dell’Imperatore Tito e della sua seconda moglie Marzia Furnilla, rinvenuta a Frattocchie alla fine del XIX secolo, conosciamo dalle cronache degli scavi di quel periodo che tale scoperta avvenne presso il XII miglio di via Appia nel dicembre del 1886. Dalla testimonianza diretta del Torquati sappiamo invece del rinvenimento nel mese di febbraio dello stesso anno ad opera dei fratelli Vitali durante lo scavo per trasformare un canneto in vigna: “Dirò solamente che la prima impressione ricevuta dalla faccia della statua fu quella che sulla faccia di Venere( copia o imitazione della Medicea di Prassitele) fosse stata impernata la testa di una marmorea scultura rappresentante l’infelice figlia dell’Imperatore Tito, prima sedotta e poi deificata dall’empio e lascivo suo zio Domiziano”.
Da queste parole dello storico marinese, come non pensare alla fine tragica che coinvolse i due amanti le cui ceneri, alla morte di Domiziano, furono ricongiunte in un’unica urna dalla nutrice Fillide che li aveva allevati entrambi. Rimane a testimoniare questo amore impossibile e passionale, questa superba immagine scultorea che Domiziano fece realizzare per rappresentare il profondo legame che lo legava a Giulia. Motivo che ritroviamo nei versi immortali di Marziale (Epigrammi, Libro VI,XIII) dove l’amore tra i due viene paragonato a quello tra Venere e Marte o tra Giunone e Giove. Nell’osservare tale statua, oggi custodita nella Glyptoteca del New Carlsberg di Copenaghen sembra proprio di risentire quei versi che descrivono Giulia come una Venere che contende scherzosamente al piccolo Eros che è al suo fianco, la cintola o clamide che lui tiene intorno al collo: “Ludit Acidilio, sed non manu aspera,nodo, quem rapuit collo, parve Cupido, tuo”, “e la leggiadra sua mano scherza coll’Acidalia cinta, che essa, o tenero Cupido, ti rapì dal collo”.
Questa Venere di Boville seppur priva di una parte di naso andata perduta, condizione che ne altera in parte le sembianze, può comunque rappresentare un’immagine della maturità di Giulia in confronto a quella puberale della statua ritrovata sull’Isola Tiberina e oggi custodita nel Museo Nazionale Romano e a quella giovanile espressa in maniera magistrale nel cosiddetto “Busto Fonseca❞ che possiamo ammirare nei Musei Capitolini e che dal Ficoroni sappiamo che fu ritrovato alla fine del ‘700 durante gli scavi nelle vicinanze della Villa Casali sull’Aventino, forse proprio nell’adiacente Villa Fonseca.
La stessa maturità che ritroviamo nell’immagine espressa dall’artista Evodos nel Cammeo del “Tesoro di Saint Denis” di Parigi nel quale molti sono i punti di somiglianza con l’iconografia che rappresenta Giulia Flavia Augusta in alcune delle molte e controverse immagini monetali. Considerando il sito descritto dagli archeologi dell’Ottocento non possiamo tralasciare di notare come si possa trattare dello stesso luogo dove recenti scavi preventivi, eseguiti dagli archeologi tra il 2012 e il 2014 in Vicolo del Divino Amore a Frattocchie nel luogo più famoso come “Casa Rossa” al XII miglio della via Appia, hanno portato al rinvenimento di un meraviglioso “impluvium” realizzato con marmi policromi, al cui interno, fuori dal contesto, una testa marmorea raffigurante l’Imperatore Tito, restaurata e custodita presso l’Università di Dallas in via dei Ceraseti a Marino.
Lo stesso Thomas Aschby,nel 1910, poneva il dubbio che tale statua fosse stata ritrovata in quella che doveva ritenersi la Villa di Domiziano vicino Castel Gandolfo. Quale personaggio così importante poteva dunque arricchire la sua villa e i suoi giardini, nel I secolo d.C., con opere scultoree di così straordinario genere?
Lasciamo la risposta agli studiosi e a quanti, appassionati della storia del nostro territorio, vorranno approfondire queste storie dimenticate.
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